Gender pay gap: il divario che resiste (anche in Italia)

Una donna continua a guadagnare meno rispetto a un collega uomo con pari età, ruolo e inquadramento nella stessa impresa. È quanto emerge dall’ultima analisi di Oxfam, basata su dati di S&P Capital IQ, che ha esaminato 11.366 aziende in 82 Paesi, inclusa l’Italia. Tra il 2022 e il 2023, il gender pay gap – il divario salariale di genere a livello aziendale – è sceso dal 27% al 22%.

Un giorno di lavoro gratis a settimana

Oxfam sottolinea un dato emblematico: le donne, in media, lavorano l’equivalente di un giorno alla settimana senza retribuzione, rispetto ai colleghi uomini. Una sintesi efficace della persistente disuguaglianza salariale.

Gender gap, quali sono i Paesi con il divario maggiore

Le aziende giapponesi e sudcoreane hanno riportato nel 2023 valori più elevati del divario retributivo di genere a livello aziendale (circa il 40%). Nelle imprese dell’America Latina il divario si è attestato, in media, al 36%, in aumento rispetto al 34% dell’anno precedente. Le aziende in Canada, Danimarca, Irlanda e Regno Unito hanno registrato invece divari retributivi medi più contenuti (circa il 16%). In Europa, secondo Eurostat, nello stesso anno il gap è stato del 12%.

L’analisi, in questo caso, non ha fornito dati relativi alla situazione italiana ma prendendo in considerazione il Rendiconto di genere 2024 dell’INPS, si scopre che nel 2023 le donne in Italia hanno percepito stipendi giornalieri inferiori di oltre il 20% rispetto agli uomini nelle attività manifatturiere, del 23,7% nel commercio, del 16,3% nei servizi di alloggio e ristorazione, del 32,1% nelle attività finanziarie, assicurative e servizi alle imprese.

Le cause del gender pay gap

Le cause principali del divario di retribuzione fra uomini e donne sono di natura differente e non rientrano esclusivamente in un ambito prettamente economico o formativo ma anche in quello culturale e sociale.

  • Segregazione occupazionale: le donne sono sovra-rappresentate in settori a bassa retribuzione (es. sanità, istruzione) e sottorappresentate in ruoli apicali o in settori STEM, tipicamente più remunerativi. In Italia, solo il 21,1% dei dirigenti è donna.
  • Part-time involontario: molte donne lavorano a tempo parziale, spesso non per scelta, con impatti negativi sul salario annuale. Sulla base di dati Euronews il 28% delle donne nell’UE lavorava part-time contro l’8% degli uomini.
  • Penalizzazione della maternità (motherhood penalty): le interruzioni di carriera legate alla maternità e l’assunzione del carico familiare penalizzano l’avanzamento di carriera e il salario delle donne. Come è emerso dal XXIII Rapporto annuale dell’INPS la nascita di un figlio riduce il reddito delle madri a lungo termine: l’impatto economico è importante ed è quantificato a oltre 5.000 € annui in meno per madri rispetto a donne senza figli.
  • Fattori culturali e carenza di servizi di cura: la responsabilità familiare, soprattutto in merito alla cura dei più piccoli e dei più anziani, grava ancora in gran parte sulle donne, che sono spesso costrette a scegliere tra carriera e famiglia. La mancanza di adeguati servizi di care giving aggrava questa situazione. Sempre secondo il Rendiconto di genere dell’INPS 2024 i carichi familiari hanno maggiore incidenza di inattività lavorativa o lavoro part-time.

Gender pay gap: il divario che resiste (anche in Italia)

Donne ai vertici, una rarità

La disparità di stipendio si riflette anche sulla prospettiva di carriera delle donne in azienda con il risultato che raramente riescono a raggiungere posizioni di responsabilità e se centrano l’obiettivo tagliano il traguardo con maggiore difficoltà rispetto ai colleghi. L’analisi di Oxfam ha infatti rilevato come tra 45.501 imprese di 168 Paesi con un fatturato annuo superiore a 10 milioni di dollari e che riportano il genere del proprio amministratore delegato, meno del 7% aveva una donna nella posizione apicale dell’organigramma aziendale.

Ceo sempre più pagati: disuguaglianze in aumento

Oxfam ha cercato di mettere in evidenza non soltanto la disparità di stipendio fra generi diversi ma in generale le disuguaglianze di retribuzione esistenti anche fra i diversi livelli di inquadramento. E così è emerso che globalmente, negli ultimi 5 anni, la retribuzione mediana degli amministratori delegati d’impresa è cresciuta del 50%, in termini reali, passando da 2,9 milioni di dollari nel 2019 a 4,3 milioni nel 2024. Questo aumento supera di ben 56 volte la modesta crescita del salario medio reale (+0,9%) alle prese, tra le altre cose, con l’effetto “erosivo” dell’inflazione.

Nel dettaglio, tra i Paesi in cui il campione di imprese analizzate è sufficientemente ampio, emerge che:

  • Irlanda e Germania vantano alcuni tra gli amministratori delegati più pagati con una retribuzione annua mediana rispettivamente di 6,7 milioni e 4,7 milioni di dollari nel 2024;
  • in Sudafrica il compenso annuo mediano degli amministratori delegati era di 1,6 milioni di dollari nel 2024, mentre in India ha raggiunto i 2 milioni di dollari.

Focus Italia: salari reali al palo

Quando si parla di salari reali l’Italia compare costantemente in difficoltà rispetto alla platea dei Paesi avanzati. L’analisi di Oxfam, infatti, ha messo in evidenza come a un andamento negativo di lungo corso che colloca il nostro Paese nelle ultime posizioni, si è aggiunta la pressione inflazionistica degli ultimi tempi: nonostante questo combinato disposto nel 2024 si è registrata una crescita dei salari reali italiani del 2,3% su base annua, secondo le ultime stime dell’OIL (Organizzazione internazionale del lavoro).

Tale incremento, però, è considerato insufficiente a colmare la perdita del potere d’acquisto delle retribuzioni, ampiamente eroso negli anni passati: il salario medio reale si è infatti contratto in Italia dell’8,7% tra il 2008 e il 2024. Se, infatti, si prendesse in considerazione la variazione dei prezzi del carrello della spesa (come approssimazione dei beni maggiormente consumati dai lavoratori con basse retribuzioni), invece degli indici generali dell’inflazione, il salario lordo nazionale registrerebbe, in media, una perdita cumulata di circa il 15% nel solo quadriennio 2019-2023 e la dinamica positiva del 2024 non rappresenterebbe che un placebo per i lavoratori con le retribuzioni più basse, molte delle quali, ancora una volta, donne.

L’impegno di Etica Sgr per l’empowerment femminile e la parità di genere

Etica Sgr si impegna quotidianamente per promuovere l’empowerment femminile, in particolare con l’attività di stewardship ed engagement, dialogando con il management delle aziende e partecipando attivamente alle assemblee delle aziende in cui i fondi investono.

Diversità e inclusione sono temi particolarmente importanti per Etica. La nostra metodologia di selezione degli emittenti presenta indicatori con i quali analizziamo e valutiamo le imprese in base a questi parametri. Valutiamo, ad esempio, la presenza nelle società di politiche su pari opportunità e diversità, politiche di rispetto e promozione dei diritti umani e politiche di sostegno della non discriminazione. Abbiamo poi degli indicatori più specifici per l’analisi degli Stati. Per esempio consideriamo anche il Gender Equality Index, un indice che misura l’impatto della diversità di genere.

Al termine dell’investimento Etica Sgr si impegna a misurare e a rendicontare l’impatto ambientale e sociale dell’investimento dei portafogli azionari. Ogni anno pubblichiamo il Report di Impatto, che è lo strumento con cui Etica Sgr misura l’impatto dell’attività di selezione dei titoli rispetto al mercato di riferimento o benchmark.

A testimonianza del suo impegno, il Gruppo Banca Etica, di cui Etica Sgr fa parte, è stato il primo in Europa a ottenere la certificazione ISO 30415:2021 “Diversity & Inclusion”, confermata anche per il 2024. Inoltre, ha ottenuto le certificazioni UNI/PdR 125:2022 e ISO 53800, che attestano l’adozione di pratiche aziendali volte a promuovere la parità di genere e l’empowerment femminile.

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