Transizione verde, l’ostacolo della disinformazione

La consapevolezza da cui può partire il cambiamento è figlia della corretta informazione. Per questo motivo, in una fase molto delicata della transizione verde, evitare di fornire notizie non suffragate dai fatti e dalle evidenze scientifiche, diventa fondamentale se si desidera davvero porre freno al cambiamento climatico che mette a rischio non solo i nostri assetti produttivi ed economici ma l’esistenza stessa del genere umano. Un allarme chiaro in questo senso è stato lanciato dal segretario generale dell’Onu, Antònio Guterres, durante il suo discorso al World economic forum (Wef) di gennaio, uno dei più importanti palcoscenici mondiali che si tiene ogni anno a Davos, in Svizzera, in cui leader politici, imprenditori e giornalisti si confrontano su temi di importanza globale.

Il numero uno del Palazzo di Vetro ha puntato il dito senza mezzi termini contro le grandi aziende petrolifere che hanno lanciato “un’altra campagna multimilionaria per frenare il progresso e mantenere il flusso di petrolio e gas a tempo indeterminato.” Durante il suo discorso ha affermato con fermezza e chiarezza: “L’eliminazione graduale dei combustibili fossili è essenziale e inevitabile. Nessun tatticismo cambierà la situazione. Speriamo che non si arrivi troppo tardi. Dobbiamo agire ora per garantire una transizione giusta ed equa verso le energie rinnovabili“.

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Disinformazione e transizione verde, l’allarme del Wef

Lo stesso Wef ha scelto proprio la platea di Davos per porre l’accento su questo punto. L’organizzazione ginevrina ha messo nero su bianco nel suo Global risk report (Grr) che in cima alla lista dei rischi globali più pericolosi nei prossimi due anni compaiono proprio la disinformazione e misinformazione. Ma di cosa parliamo esattamente? Vediamo di fare chiarezza.

  • Disinformazione: diffusione di un contenuto o notizia falsa realizzata con lo scopo volontario di ingannare l’opinione pubblica e/o trarne qualche vantaggio economico. Per la sua fonte o il modo in cui è realizzato il contenuto viene considerato serio, corretto e quindi accreditato di alti livelli di credibilità.
  • Misinformazione: diffusione di una notizia fuorviante, parzialmente o completamente falsa senza la volontà esplicita di ingannare l’opinione pubblica. Molto comune sui social network, è tipica anche dei media più rinomati e si verifica quando la notizia non è adeguatamente verificata ma si procede comunque al divulgarla.

Al secondo fra i rischi globali ecco comparire gli eventi climatici estremi che conquistano, però, il primo posto se si sposta il focus dalla prospettiva di breve a quella di medio termine (dieci anni).

Pericolo greenwashing

Legato alla disinformazione c’è il fenomeno del greenwashing che si verifica quando un’organizzazione rivolga volontariamente agli investitori o ai consumatori affermazioni fuorvianti relative alla sostenibilità, solitamente per aumentare la propria reputazione e i propri profitti.

Alla fine del 2023 ha fatto molto discutere un report stilato da RepRisk, rilanciato anche dall’agenzia Reuters, nel quale era contenuto un esplicito atto di accusa nei confronti di banche e istituti finanziari di tutto il mondo:  la società specializzata in dati ambientali, sociali e di governance (Esg) ha sottolineato che il numero di casi di greenwashing nel settore dei servizi al credito e finanziari era aumentato del 70% negli ultimi 12 mesi rispetto ai 12 mesi precedenti (in termini assoluti sono stati registrati 148 casi fino alla fine di settembre 2023, rispetto agli 86 dell’anno prima: di questi 106 riguardavano istituzioni finanziarie europee).

Secondo RepRisk sono stati argomenti comuni di affermazioni fuorvianti sia il cambiamento climatico sia le questioni relative ai combustibili fossili. Nel report si afferma che il 54% delle aziende in Asia, Europa e Nord America avrebbe presentato in modo ingannevole i propri dati sulle emissioni di gas serra, l’inquinamento globale e altre questioni relative al cambiamento climatico.

Il rapporto è stato anche il primo tentativo di RepRisk di documentare il social washing, che mira ad identificare le contraddizioni tra l’immagine di un’azienda e la sua condotta effettiva su questioni sociali. Il rapporto ha cercato comunicazioni fuorvianti su questioni come i diritti umani, la salute e la sicurezza sul lavoro, l’impatto sulla comunità o il lavoro minorile, scoprendo che molte delle questioni sociali erano strettamente legate a questioni ambientali: le aziende che si dedicano al greenwashing sono più propense a praticare il social washing.

Dati standard per evitare le accuse di greenwashing

Spesso il greenwashing viene usato come leva proprio dai detrattori degli investimenti ESG secondo i quali la mancanza di metodi standard per misurare la sostenibilità favorirebbero questa forma di disinformazione che finisce per danneggiare pesantemente gli investitori. Un’accusa alla quale ha risposto il Forum per la Finanza Sostenibile con il paper La finanza sostenibile oltre i pregiudizi. L’associazione ha portato all’attenzione quanto la crescente massa di investimenti con criteri Esg abbia contemporaneamente incrementato le critiche da parte di coloro che vogliono rallentare questa evoluzione. Per arginarle e contenere lo scetticismo nei confronti di qualsiasi dichiarazione di sostenibilità ci sono due strade:

  • maggiore standardizzazione dei criteri per la valutazione dei dati Esg;
  • un quadro normativo rafforzato per il monitoraggio di questi aspetti.

Il paradosso del greenhushing

Un problema opposto al greenwashing è il greenhushing: con questo termine si indica la tendenza di alcune aziende a non comunicare il proprio impegno nei confronti della sostenibilità, in primo luogo per il timore di essere accusate di pratiche scorrette, cioè proprio di greenwashing. Anche in questo caso la principale ragione di un’omissione di questo tipo è da ricercare in primo luogo nell’incertezza sull’efficacia e sulla misurabilità delle proprie politiche ambientali ma anche piuttosto spesso in un atteggiamento di sottovalutazione dell’importanza del tema della sostenibilità, considerato spesso un costo.

Il ruolo della Corporate sustainability reporting directive

Per i motivi prima esposti l’entrata in vigore proprio a partire dal 2024 della direttiva Csrd (Corporate sustainability reporting directive), con un calendario differente in base alla dimensione delle aziende coinvolte, viene vista con grande favore: la normativa europea, infatti, imporrà nuovi strumenti e standard per rendere pubblici e trasparenti i dati aziendali Esg ed equiparerà le informazioni sulla sostenibilità a quelle finanziarie. Allo scopo di garantire che le imprese forniscano evidenze affidabili dovranno ottenere certificazione da parte di enti terzi adeguatamente certificati.


 

Si prega di leggere le Note legali.

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