ESG e SRI, le politiche di investimento sostenibile degli investitori istituzionali italiani

ESG e SRI, investitori istituzionali e finanza sostenibile

ESG e SRI, l’approccio degli investitori istituzionali italiani verso le scelte sostenibili non ha più un carattere legato alla moda del momento ma rappresenta una scelta consapevole e necessaria per generare valore per il Paese, aiutare l’economia reale, generare occupazione e reddito e in questo modo contribuire allo sviluppo e alla valorizzazione dei Territori e delle Comunità.

Questo dice l’indagine “Finanza SRI e integrazione dei criteri ESG” a cura del Centro Studi e Ricerche di Itinerari Previdenziali. Anche la continua evoluzione del contesto normativo europeo relativo agli investimenti sostenibili è prova della vitalità e dell’importanza della finanza etica nell’attuale panorama economico. L’Europa, attraverso il continuo lavoro dei suoi legislatori, rappresenta l’entità economica e politica più impegnata al mondo nel portare avanti la rivoluzione della finanza verde e responsabile affinché questa possa essere sempre più autentica, coerente, chiara e condivisa.

Autentica, perché le grandi sfide che abbiamo di fronte, a partire dal cambiamento climatico, possono essere affrontate con vantaggio solo attraverso la condivisione, a tutti i livelli della società, di un nuovo modello culturale basato sulla conoscenza condivisa dei problemi, sulla volontà di risolverli in modo scientifico e alimentato da un nuovo modo di fare impresa e finanza.

Per questo non è a sproposito che è possibile parlare di rivoluzione della finanza e di un nuovo modo di concepire gli investimenti: un approccio attraverso il quale il denominatore comune delle azioni volte a produrre ricchezza non è più solo la rendita ma anche la sostenibilità.

La sostenibilità finanziaria è la chiave per un benessere duraturo e riproducibile

Una finanza che insegue solo la moltiplicazione degli utili non è concretamente in grado di apportare benessere duraturo, concreto, stabile, riproducibile. Questo dice il documento che rappresenta l’atto di nascita istituzionale della finanza etica, Who Cares Wins – Connecting Financial Markets to a Changing World (che tradotto in italiano suona come ‘chi si preoccupa vince – connettere i mercati finanziari a un mondo che cambia’), il paper a firma delle Nazioni Unite e di venti istituti finanziari in cui è comparso, per la prima volta e precisamente nel 2004, il termine ESG.

Coerente? A circa vent’anni di distanza dall’introduzione all’interno del settore degli investimenti e della finanza, dei criteri di responsabilità verso l’ambiente, la società e la gestione societaria (ESG) è doveroso domandarsi quali passi avanti siano stati fatti per quanto riguarda la coerenza.

La lunga strada per la creazione di un nuovo approccio agli investimenti: l’impegno dell’Unione Europea

La risposta sulla coerenza si trova varcando le mura della cittadella legislativa dell’Unione Europea, infatti è proprio tra Strasburgo (sede principale del Parlamento UE) e Bruxelles (dove si riuniscono le Commissioni) che è stata messa a terra una delle più importanti pietre miliari nella road map verso la creazione di un nuovo sistema economico, parliamo della Tassonomia verde il documento che, per la prima volta, introduce delle regole per stabilire un linguaggio comune e definire uno standard condiviso di quali attività possano essere considerate realmente sostenibili e capaci di creare valore in modo equo e duraturo.

Un documento fondamentale per fiaccare e rendere vana la pratica del greenwashing perché mette a disposizione una classificazione e degli indici di riferimento comuni e obbligatori per calcolare l’impatto di un investimento in modo che nessuno possa manipolare i dati a proprio vantaggio. Un requisito indispensabile per poter iniziare a parlare di sostenibilità all’interno dei mercati finanziari e per il quale, è importante sottolinearlo, ci sono voluti anni per riuscire a entrare in vigore, precisamente il 31 dicembre 2021, a circa vent’anni dall’introduzione dei criteri ESG all’interno dei mercati finanziari.

Ma la Tassonomia sarebbe inutile se non fosse accompagnata da un obbligo per le aziende di applicazione dei criteri condivisi di trasparenza sulla sostenibilità, infatti a cosa serve definire cosa è sostenibile e cosa no se poi le aziende non sono tenute per legge a pubblicare dati dettagliati sul loro impatto ambientale, sociale e di governance? Per questo i legislatori europei hanno introdotto la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), il dispositivo normativo che mira a rafforzare e migliorare la rendicontazione aziendale sulla sostenibilità.

La CSRD, che sostituisce la precedente Direttiva sulla rendicontazione non finanziaria (NFRD), prevede infatti l’obbligo per le imprese europee di fornire informazioni dettagliate sui loro impatti sull’ambiente, sulla società e sul governo aziendale nei loro rapporti finanziari annuali compresi i dati sulle emissioni di gas a effetto serra, l’utilizzo di risorse naturali, la gestione dei rifiuti, la salute e la sicurezza dei lavoratori, la diversità e l’inclusione, la trasparenza e l’etica aziendale.

L’obiettivo della CSRD è quello di aumentare la trasparenza e la responsabilità delle imprese nei confronti della società e dell’ambiente, fornendo informazioni di alta qualità e, soprattutto, comparabili per orientare gli investitori, i consumatori e le altre parti interessate e aiutarli a prendere decisioni più informate e a valutare meglio il contributo delle imprese alla sostenibilità.

L’indagine Finanza SRI e integrazione dei criteri ESG 2023

E oggi? Alla luce di questa piccola introduzione circa l’avventura e i progressi della filosofia e della prassi ESG, qual è lo stato di salute dell’approccio degli investitori istituzionali italiani nei confronti dei temi legati alla sostenibilità finanziaria? È possibile approfondire le loro politiche d’investimento sostenibile e scoprire quali sono gli obiettivi più rilevanti che intendono raggiungere? La risposta è positiva, grazie all’indagine “Finanza SRI e integrazione dei criteri ESG” a cura del Centro Studi e Ricerche di Itinerari Previdenziali.

Cosa vuol dire SRI? È l’acronimo di Sustainable and Responsible Investment (in italiano Investimento Sostenibile e Responsabile) un tipo di investimento che mira a creare valore per l’investitore e per la società nel suo complesso attraverso una strategia orientata al medio-lungo periodo che, nella valutazione di imprese e istituzioni, integra l’analisi finanziaria con quella ambientale, sociale e di buon governo.

Una survey annuale (quest’ultima del 2023 è la quinta edizione) che ci fornisce una fotografia delle strategie di sostenibilità e integrazione dei criteri ESG nei portafogli dei principali player istituzionali italiani. Vediamo insieme i risultati di questa analisi che raccoglie l’esperienza di 123 investitori che rappresentano un patrimonio di 246 miliardi di euro, pari a circa l’86,5% del totale dei patrimoni degli investitori istituzionali previdenziali e fondazionali.

Il primo dato che emerge dalla ricerca è lo “slancio” degli investitori istituzionali verso la sostenibilità, una propensione verso un approccio consapevole e responsabile trainata, sottolineano gli autori della survey, anche dalla “pressione” del regolatore europeo, come abbiamo anticipato in questo articolo.

Nello specifico la percentuale di enti che dichiara di adottare ufficialmente politiche SRI è del 52%, poco più della metà. Ma allora perché la ricerca parla di slancio? Non è un margine troppo esiguo?

Per scoprirlo basta proseguire con la lettura dell’Indagine “Finanza SRI e integrazione dei criteri ESG” a cura del Centro Studi e Ricerche di Itinerari Previdenziali e sponsorizzata da Etica SGR, che ci invita a considerare i dati relativi ai valori assoluti, i quali mostrano un sensibile aumento: infatti se negli anni la percentuale aggregata è rimasta più o meno stabile non si può dire la stessa cosa per il numero degli enti virtuosi che negli anni è cresciuto, passando dai 43 del 2021 ai 64 del 2023.

Non solo, la maggior parte dei player che hanno dichiarato di non adottare una politica di investimento sostenibile (nello specifico 47, ovvero l’80%) ha motivato il “no” spiegando che il tema è stato discusso e verrà implementato nel futuro. E non è tutto, perché tra quelli che hanno risposto negativamente vi sono enti che hanno acquistato anche loro prodotti ESG con l’unica differenza di non averlo preventivato “ufficialmente”, in altre parole senza avere ancora adottato una vera e propria politica di investimento SRI.

Per queste ragioni gli autori del report dichiarano che l’approccio degli enti italiani verso le scelte sostenibili non ha (più) un carattere legato alla moda del momento ma oggi rappresenta una scelta consapevole e necessaria per generare valore per il Paese.

Un dato che trova conferma anche nella volontà da parte degli enti (9 su 10) di attivare percorsi di formazione interna per approfondire la conoscenza delle normative europee circa la sostenibilità e gli strumenti finanziari e cosi dotarsi di nuove competenze in ambito SRI.

Interessante anche approfondire quali siano i vantaggi prettamente finanziari che emergono dall’implementazione di titoli ESG: per il 69% permettono una più efficace gestione del rischio nel portafoglio, per il 44% il miglioramento della reputazione e per il 22% un miglioramento di performance e rendimenti.

Merita un approfondimento anche la modalità con la quale vengono applicati i criteri ESG, vediamola subito: al primo posto si posizionano per il quinto anno consecutivo le esclusioni (60%), seguite da investimenti tematici (34%) e convenzioni internazionali (33%).

Scendendo ancor più nel dettaglio, dalla survey 2023 emerge che le esclusioni riguardano soprattutto prodotti collegati al mercato delle armi (93%), al gioco d’azzardo (64%), alla pornografia (62%) e al lavoro minorile (53%). Nel grafico qui sotto potete consultare il dettaglio completo dell’andamento delle esclusioni dal 2019 al 2023, dal quale emerge che sono in calo le esclusioni verso i settori afferenti ai test sugli animali (scese dal 18% al 9%) e verso quelli che impattano negativamente sulla parità di genere (dal 17% al 8%) mentre sono in aumento le esclusioni legate all’industria delle armi (dal 87% al 93%) e ai combustibili fossili (dal 32% al 35%).

È rilevante, inoltre, scoprire quali sono gli obiettivi principali che gli enti intendono perseguire adottando politiche d’investimento sostenibili, al primo posto troviamo la lotta contro il cambiamento climatico con il 65% delle preferenze, segue al secondo posto il lavoro dignitoso con il 53% e energia pulita e accessibile, al terzo posto con il 49% delle preferenze.

Infine scopriamo quale lettera di ESG è per gli investitori istituzionali più preponderante nelle scelte di investimento. Le indicazioni ottenute dagli enti sono piuttosto omogenee, anche se si nota una predominanza nell’indicare il valore più alto alla lettera E (ambiente) con il 35,3%, seguita dalla lettera G (governo societario) con il 32,8% e infine dalla lettera S (società) con il 31,8% delle preferenze.

Scegli di investire con un impatto positivo: i fondi e le iniziative di Etica SGR

La finanza etica nasce per mettere al centro delle scelte finanziarie dei risparmiatori le persone e l’ambiente. Questo significa assumere una prospettiva di lungo periodo e ampliare il raggio di valutazione per i propri investimenti.

Etica SGR ha sostenuto negli anni concretamente e con sempre più impegno e determinazione la cooperazione sociale, la tutela dell’ambiente e la società civile, appoggiando il mondo non profit e l’economia solidale e circolare per produrre rendimento e contribuire al bene comune, mettendo al centro dell’attenzione le persone e non il business fine a sé stesso.

Un impegno costante che ha dato i suoi frutti e i cui semi si sono sparsi sul territorio generando altro valore, ne sono una prova gli oltre 80 nuovi micro-finanziamenti erogati nel 2022, i 15 progetti di crowdfunding supportati grazie al fondo di Etica SGR e il 100% di emissione di Co2 compensate. Puoi scoprire di più sui risultati di Etica SGR approfondendo il nostro bilancio integrato 2022.

 

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