Nature Restoration Law, approvata la legge per proteggere la biodiversità

A febbraio 2024 il Parlamento europeo ha approvato la Nature Restoration Law, una legge sul ripristino della natura: un passo avanti importante verso il ripristino degli ecosistemi europei perché obbliga i Paesi membri a ripristinare almeno il 20% delle aree terrestri e marittime dell’Europa entro il 2030, con l’obiettivo di raggiungere tutti gli ecosistemi danneggiati entro il 2050.

Cosa significa ripristinare? L’Onu sintetizza cosi: prevenire, fermare e invertire il degrado della biodiversità. La normativa non si limita a introdurre procedure per proteggere la biodiversità minacciata dagli effetti del cambiamento climatico: la Nature Restoration Law (approvata con 329 voti favorevoli, 275 contrari e 24 astensioni) impegna gli Stati a garantire la sostenibilità a lungo termine anche dei sistemi alimentari.

La Nature Restoration Law approvata di un soffio 

Un lieto fine per una norma che rappresenta uno dei pilastri del Green Deal europeo? La risposta è sembrata in prima istanza negativa. L’accordo raggiunto dal Parlamento europeo non è stato inizialmente confermato: successivamente all’approvazione del testo l’Ungheria ha annunciato che non avrebbe più sostenuto la proposta nell’ultima votazione “formale” prima del varo della legge, un voto previsto per il 25 marzo 2024 durante la riunione del Consiglio Ambientale a Bruxelles, l’organo composto dai ministri dell’ambiente dei 27 Stati membri. La decisione all’ultimo minuto dell’Ungheria ha innescato una reazione a catena, con Italia, Paesi Bassi e Svezia che hanno a loro volta dichiarato la volontà di votare contro il disegno di legge per il ripristino della natura. La volontà di astenersi è stata invece preferita da Finlandia, Polonia, Belgio e Austria.

Poi il colpo di scena e un passo avanti storico per la natura in Europa: la Nature Restoration Law è stata approvata a sorpresa durante il Consiglio a Lussemburgo il 17 giugno 2024. Questo risultato, atteso da ambientalisti, scienziati e associazioni, è stato ostacolato per mesi da Paesi come Italia, Svezia, Finlandia, Ungheria e Olanda, preoccupati per le ripercussioni economiche sull’agricoltura. L’ultimo voto ha visto questi Paesi ancora contrari, ma grazie al cambiamento di posizione dell’Austria, che ha garantito il 66% dei consensi necessari, la legge è passata. Il regolamento sarà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’UE e entrerà in vigore tra poche settimane.

Ma cosa prevede il testo “originale” della Nature Restoration Law?

Misurare la salute degli ecosistemi: indicatori e approcci

Il piano per “guarire” almeno il 20% dei territori e dei mari europei è diviso in tre fasi:

  • nella prima fase, che terminerà nel 2030, i Paesi dovranno ripristinare il buono stato di salute di almeno il 30% degli habitat naturali in pericolo, che sono principalmente boschi, pianure, fiumi, laghi, coste e fondali marittimi;
  • la seconda fase prevede di alzare al 60% la percentuale di ripristino degli ecosistemi entro il 2040
  • nella terza fase questa percentuale dovrà raggiungere il 90% entro il 2050.

I Paesi Ue dovrebbero quindi garantire che le zone ripristinate non tornino a deteriorarsi e redigere dei Piani nazionali di ripristino che indichino nel dettaglio il modo in cui intendono raggiungere gli obiettivi.

Tra due habitat, entrambi danneggiati, come decidere quale ha la priorità? Fondamentale il ruolo della comunità scientifica, che dovrà supportare ogni Paese nello stilare il proprio piano di ripristino, tuttavia fino al 2030 le aree giudicate prioritarie sono già state selezionate attraverso Natura 2000,  la più grande rete mondiale di aree protette che copre il 18% del territorio europeo, il 6% dei mari, più di mille specie tra animali e vegetali e cinquecento tipi di uccelli selvatici.

Gli uccelli selvatici peraltro sono stati scelti come uno dei tre indicatori della salute generale di un ecosistema, infatti questi animali dipendono da un particolare habitat per l’alimentazione e la nidificazione e non sono in grado di prosperare in altri habitat. Per questo la distribuzione di alcune specie selezionate permette di misurare il grado di salute di un territorio.Il secondo indicatore per misurare il benessere di un ecosistema è basato sulle farfalle comuni che sono fondamentali per la salute degli habitat naturali perché sono impollinatori di una grande varietà di fiori e piante, e perché sono la base alimentare di molti animali, come gli uccelli e altri insetti.Il terzo indice su cui misurare il benessere di un territorio è quello degli “elementi caratteristici del paesaggio con elevata diversità”.

Come funziona? In poche parole in ogni zona agricola ci devono essere (per una quota di almeno il 10%) campi non coltivati, stagni, ruscelli, filari di alberi ma anche muretti in pietra adatti a ospitare molti animali e insetti ma anche fondamentali nella prevenzione delle frane: infatti lungo i muri a secco l’acqua piovana rallenta e scorre via nelle fessure tra le pietre, per poi venire raccolta nelle canalette. È per questo motivo che questi manufatti rivestono un ruolo vitale di difesa del suolo.

Inoltre la legge sul ripristino della natura imporrebbe ai Paesi di “liberare” almeno 25mila chilometri di fiumi, trasformandoli in fiumi a scorrimento libero eliminando dighe e barriere artificiali che compromettono la loro salute, ma anche di garantire che non vi sia alcuna perdita né della superficie nazionale totale degli spazi verdi urbani, né di copertura arborea urbana. Infine l’Europa con questa Direttiva si impegna a piantare 3 miliardi di nuovi alberi.

La più recente valutazione dell’Agenzia europea dell’ambiente traccia un quadro critico dello stato di salute dell’habitat naturale europeo del quale solo il 15% è in buone condizioni. I nuovi piani di intervento per la biodiversità proveranno quindi a fermare il progressivo peggioramento che riguarda oltre un terzo degli ecosistemi europei. Le ultime stime infatti indicano che solo il 9% degli habitat e il 6% delle specie in pericolo mostra una tendenza al miglioramento.

Etica Sgr e l’impegno della finanza etica per la biodiversità

Per Etica Sgr l’investimento responsabile ha l’obiettivo di ottenere potenziali performance finanziarie positive e generare effetti positivi per l’ambiente e per la società. Scegliere i fondi etici vuol dire considerare anche l’impatto ESG dell’investimento e contribuire allo sviluppo di un sistema economico e finanziario più sostenibile e inclusivo, da un punto di vista ambientale e sociale.

Nel 2020 Etica Sgr ha firmato il Finance for Biodiversity Pledge, un’iniziativa promossa dalle istituzioni finanziarie parte della F@B Community dell’Unione Europea, per proteggere e ripristinare la biodiversità. Al momento del lancio, Etica Sgr era l’unica società italiana tra i 26 firmatari. Ad oggi sono 170 le istituzioni firmatarie, rappresentanti 22 trilioni di masse in gestione, che condividono le conoscenze, dialogano con le aziende e valutano l’impatto dei propri investimenti, fissando obiettivi specifici e rendicontando target e progressi. Attraverso questo impegno, le istituzioni finanziarie invitano i leader mondiali a invertire la tendenza dell’ultimo decennio per quanto riguarda lo sfruttamento ambientale e si impegnano a collaborare, attivarsi e calcolare il proprio impatto sulla biodiversità.

Nel 2022 Etica Sgr ha sottoscritto, insieme a circa ottanta investitori istituzionali di tutto il mondo, la Dichiarazione degli Investitori sul Cambiamento Climatico per sollecitare i governi ad attuare specifiche azioni politiche sul tema, inclusa la tutela della diversità biologica.

Etica Sgr oggi supporta anche Spring, la nuova iniziativa di PRI (Principles for Responsible Investment) delle Nazioni Unite, per preservare la biodiversità e contrastare la sua progressiva perdita. L’iniziativa Spring si concentra su attività di dialogo con aziende selezionate ed è volta a sensibilizzare e incoraggiare l’adozione, da parte di investitori istituzionali, di pratiche più sostenibili da un punto di vista ambientale. Etica Sgr, che è stata la prima società di gestione italiana a aderire al PRI nel 2009, sostiene questa iniziativa, in considerazione dell’importanza di un impegno congiunto tra investitori e aziende sul tema e per mitigarne i rischi economici correlati.

 

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