Ripresa economica dopo il Coronavirus: quali ricette possibili a impatto ambientale positivo?

Ripresa economica dopo l’emergenza Coronavirus. Quali sono le ricette?

In un momento in cui tutti gli Stati sono impegnati nel varare manovre fiscali volte a favorire la ripresa economica dopo la pandemia, ci si interroga sulle conseguenze che la crisi Covid-19 avrà sui piani per far fronte all’emergenza climatica.

Per la ripresa economica molti Paesi del G20 hanno già proposto o messo in atto misure di salvataggio fiscale con l’obiettivo di proteggere i bilanci delle aziende, ridurre i fallimenti e affrontare gli impatti immediati sul benessere degli individui derivanti dai periodi di blocco delle attività, oltre che di limitare la diffusione del virus e affrontare i costi sanitari associati.

La priorità è stata naturalmente quella di aumentare i flussi di cassa verso soggetti in situazioni finanziarie precarie, per sostenere la spesa nei servizi di base (cibo, alloggio, energia…). Tuttavia, alcune politiche sono state finalizzate al salvataggio di imprese ad alta intensità di emissioni, come le compagnie aeree, che vanno incontro a rischi di fallimento o comunque di entrate significativamente ridotte a causa del Covid-19.

Nel complesso, sebbene le misure di quarantena adottate dai vari governi abbiano ridotto le emissioni di gas a effetto serra per il 2020, l’impatto complessivo sarà determinato dalle scelte di investimento che vedremo nel prossimo futuro. I pacchetti per la ripresa economica finora realizzati derivano da scelte dettate dall’urgenza e dall’emergenza della situazione presente. Le politiche di sviluppo e ripresa che verranno implementate, invece, ridisegneranno l’economia più a lungo termine e rappresentano decisioni che avranno impatto sulle generazioni future, anche e soprattutto attraverso il loro effetto sul clima.

Le nuove politiche fiscali per la ripresa economica rallenteranno i piani di miglioramento ambientale in programma per i prossimi anni?

Da una survey condotta tra 231 funzionari di banche centrali, ministeri delle finanze e esperti economici dei paesi del G20 pubblicata in un recente articolo accademico scritto, tra gli altri, dal Premio Nobel Joseph Stiglitz, emergono 25 archetipi di piani di sviluppo possibili (derivati dall’analisi di oltre 700 politiche di stimolo economico proposte o attuate durante e dopo la crisi finanziaria globale del 2008).

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Le cinque ricette al alto potenziale economico e di impatto positivo per il clima

Tra queste ne esistono cinque che presentano un alto potenziale sia in termini economici che di impatto positivo sul clima.

Investimenti in infrastrutture fisiche green.

Spesa per l’efficienza energetica degli edifici esistenti, applicando migliorie e modifiche per prolungarne la vita utile, in una parola retrofit (esempi di retrofit in ambito edilizio sono: miglioramento energetico di un edificio tramite isolamento termico, rinforzo antisismico, conversione di un impianto di illuminazione alogeno in LED).

Investimenti in istruzione e formazione.

Investimenti in “capitale naturale”, ripristino e sostegno delle risorse naturali.

Ricerca e sviluppo per l’energia pulita.

L’indagine tiene conto degli impatti a breve termine del Covid-19 sulla riduzione dei gas a effetto serra e dei plausibili cambiamenti a medio termine nelle abitudini e nei comportamenti di individui e istituzioni.

Dove eravamo e dove siamo?

È chiaro che la crisi COVID-19 segnerà una svolta sui cambiamenti climatici. Quest’anno, le emissioni di gas serra dovrebbero mostrare un record storico in termini di riduzione, ma per raggiungere il livello zero di emissioni entro il 2050 questo ritmo dovrebbe essere mantenuto anche negli anni a venire*. È assai probabile invece che le emissioni torneranno a crescere una volta che le restrizioni alla mobilità saranno eliminate e le economie riprenderanno il loro funzionamento, a meno che non intervengano i governi.

Inoltre il sostegno pubblico per mettere fine all’emergenza climatica era notevolmente aumentato prima alla pandemia, l’emergenza ha però rallentato questo trend, che però potrebbe ripartire soprattutto grazie a una spinta dell’opinione pubblica: i sondaggi in molti paesi mostrano come le persone, in questo periodo di ferma forzata, abbiano apprezzato l’aria pulita, le strade senza traffico, il ritorno del canto degli uccelli e della fauna selvatica, oltre che stili di vita più frugali ed efficienti e si chiedano se ciò che veniva considerato “normale” fosse realmente buono. Accanto a ciò un ruolo fondamentale sarà dato dalle misure fiscali che verranno portate avanti nei prossimi mesi, che avranno un impatto significativo sulla possibilità che gli obiettivi climatici concordati a livello globale siano raggiunti.

Crescita e ambiente: un binomio possibile per la ripresa economica?

Secondo lo studio, la lezione della crisi finanziaria del 2008 dimostra che le politiche di sviluppo economico con un tilt verde hanno vantaggi rispetto agli stimoli fiscali tradizionali.

Investimenti in energie rinnovabili, in progetti di infrastrutture verdi e per l’efficienza energetica nella ristrutturazione degli edifici sono in grado di generare vantaggi di breve e di lungo termine per quanto riguarda il mercato del lavoro e gli effetti moltiplicativi per produttività e crescita economica.

Lo studio evidenzia che tra le moltissime politiche analizzate alcune sono in grado di massimizzare i moltiplicatori economici di lungo periodo avendo un impatto fortemente positivo sul clima (quadrante in alto a destra della Figura): investimenti in infrastrutture per la connettività (S); spesa in ricerca e sviluppo (generale) (X); investimenti in istruzione (L); costruzione di infrastrutture per l’energia pulita (T); spesa in ricerca e sviluppo per le energie pulite (Y).

Ognuna di queste è stata citata tra le prime 10 politiche di ripresa preferite dagli intervistati. Spesso indicate come importanti anche le politiche che includono investimenti in salute e sanità (M) e riqualificazione della forza lavoro (N). Due archetipi hanno ottenuto un punteggio elevato sul potenziale impatto climatico, ma non sono stati inclusi perché non presentavano un alto moltiplicatore o una elevata velocità di attuazione: gli investimenti in spazi verdi e infrastrutture naturali (V) e la spesa per l’efficienza energetica per l’ammodernamento degli edifici, inclusi retrofit (U).

Molte misure tradizionali, raggruppate al centro e a destra della figura, compresa la liquidità a sostegno di famiglie, start-up e PMI (D), la copertura diretta di bisogni di base (K) e i trasferimenti diretti di denaro (O), si mostrano prevedibilmente superiori alle altre in termini di velocità di attuazione e sono classificate tra le migliori in termini di effetti moltiplicativi di lungo periodo. Da evidenziare come i salvataggi delle compagnie aeree (E) hanno registrato prestazioni notevolmente scarse su tutte le metriche e siano state citate da pochissimi intervistati nella rosa delle prime dieci.

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Combinando le risposte al sondaggio, con le evidenze tratte dalla letteratura esistente gli autori hanno identificato cinque politiche economiche che si distinguono in termini di velocità e ampiezza della ripresa economica e impatto climatico che possono generare:

  • investimenti in infrastrutture fisiche green sotto forma di stoccaggio di riserve di energia rinnovabile (incluso l’idrogeno), ammodernamento della rete elettrica e tecnologie CCS (Carbon Capture and Storage, cattura e stoccaggio del diossido di carbonio);
  • spesa per l’efficienza degli edifici per ristrutturazioni e adeguamenti, incluso un migliore isolamento, sistemi di riscaldamento e di accumulo dell’energia domestica;
  • investimenti in istruzione e formazione per far fronte alla disoccupazione derivante  dalla crisi legata al COVID-19 e ai cambiamenti strutturali nella struttura delle economie derivanti dalla decarbonizzazione;
  • investimenti in “capitale naturale” per la resilienza e la rigenerazione degli ecosistemi, tra cui il ripristino di habitat in grado di immagazzinare ampi livelli di carbonio (carbon-rich habitat) e incentivazione di pratiche agricole ecologiche;
  • spese in ricerca e sviluppo in tecnologie verdi (tra cui elettrolisi, pompe di calore, accumulo di energia, rimozione dei gas serra, …).

Si noti che per i paesi a reddito medio-basso e basso, la spesa per il sostegno rurale è un altro elemento politico di alto valore, mentre sono meno rilevanti gli investimenti in ricerca e sviluppo green. Ovviamente i governi nazionali differiscono in modo significativo nelle loro priorità economiche, sociali e ambientali, e i pacchetti di recupero dovranno necessariamente rispecchiare queste priorità, con conseguenze diverse per il clima.

In sintesi l’articolo evidenzia come ci sia un largo consenso internazionale tra gli esperti in politiche economiche sul fatto che non esista un vero trade-off tra politiche per la crescita e la ripresa economica e tutela dell’ambiente e che, anzi, le politiche che hanno come obiettivo quello di porre fine all’emergenza climatica sono più efficienti in termini di crescita delle altre.

Nella fase di ripresa successiva alla gestione dell’emergenza legata al COVID-19, i responsabili politici hanno l’opportunità e il dovere di investire in attività produttive a lungo termine. Per fare questo è possibile cavalcare il trend già in atto di cambiamento nelle abitudini e nei comportamenti delle persone. In vista della COP26, le politiche economiche per la ripresa saranno probabilmente esaminate anche per valutare il loro impatto sul clima e il loro contributo all’accordo di Parigi (UNFCCC, 2015).

Per molti paesi, si tratterà semplicemente di sviluppare le strategie esistenti potenziandole per renderle più veloci nella loro efficacia per l’economia, senza abbandonare il cammino intrapreso tenendo presente che le politiche di sviluppo che cercano sinergie tra clima e obiettivi economici hanno migliori prospettive di aumentare la ricchezza dei Paesi, facendo crescere la produttività del capitale umano, sociale, fisico, immateriale e naturale.

*A livello globale, le emissioni di gas serra potrebbero diminuire dell’8% nel 2020. Le emissioni annuali di CO2 sono diminuite in media del 4% durante la seconda guerra mondiale (1939– 45), del 3% durante la recessione 1991-1992, dell’1% durante la crisi energetica 1980-1981 e dell’1% durante la crisi finanziaria globale del 2009.


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