Povertà sanitaria in Italia: quando curarsi è un lusso

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La “povertà sanitaria” è la condizione nella quale si trovano i cittadini che non riescono ad accedere alle cure mediche di cui hanno bisogno e che la sanità pubblica non riesce a garantire.

Secondo gli autori del 10° Rapporto sulla Povertà Sanitaria di Banco Farmaceutico, la povertà sanitaria ha ormai assunto un carattere “autoctono e quindi endemico”, che tradotto in parole più semplici significa “tipico ed esclusivo di un determinato territorio”.

Le disuguaglianze nelle società occidentali tendono ad allargarsi e il nostro Paese non è solo in questa triste traiettoria. Secondo gli ultimi dati cica il 9,4% degli italiani vive in condizioni di povertà assoluta. Questo significa che ogni giorno milioni di italiani rinunciano, per motivi economici, a tutti quei beni essenziali e fondamentali per assicurarsi uno stile di vita minimamente dignitoso. Non parliamo di realtà isolate ma di una fetta consistente dei cittadini, per la precisione di 5 milioni e 571mila persone, pari a 1 milione e 960mila famiglie, che equivalgono al 7,5% di tutte quelle residenti in Italia. Non solo, la diffusione della fragilità economica è addirittura aumentata: tra il 2005 e il 2021, infatti, le famiglie che non possono soddisfare i bisogni di base (cibo, salute, alloggio e abbigliamento) sono più che raddoppiate: dal 3,5% all’attuale 7,5%.

Numeri spaventosi, ai quali bisogna aggiungere anche quelli delle famiglie che si trovano nella condizione di “povertà relativa”: l’11,1%, valore pericolosamente vicino al record del 2017 quando era il 12,3%.

La povertà assoluta si riferisce a un livello minimo di sussistenza e definisce una soglia di reddito sotto la quale un individuo o una famiglia sono considerati in condizioni di disagio economico estremo. La povertà relativa si riferisce alla condizione di una famiglia che può contare su un reddito del 50% inferiore alla media del Paese.

La povertà sanitaria in Italia, tra fragilità economica e isolamento territoriale

Una delle principali conseguenze della condizione di fragilità economica è la “povertà sanitaria”: una condizione particolarmente odiosa perché la salute, o meglio, l’accesso alle cure, dovrebbe essere un diritto garantito a tutti. Purtroppo nella realtà non è così e questo non dipende solo dalle barriere economiche ma anche, per esempio, dalla geografia (territorio isolato), infrastrutture (mancanza di ospedali o qualità dell’offerta sanitaria) e dalla scarsa consapevolezza (conoscenza delle strutture e delle cure disponibili). Una persona indigente, secondo i dati del 2021, ha a disposizione un budget per la salute pari a soli 10 euro al mese, mentre una persona sopra la soglia di povertà ha a disposizione ogni mese quasi sette volte tanto, ovvero 66 euro. Per quanto riguarda unicamente le risorse per l’acquisto di farmaci, un individuo fragile può stanziare ogni mese 5,85 euro mentre uno sopra la soglia quattro volte di più: 26 euro.

La povertà sanitaria è ancora più indigesta se si considera che permane in Italia “la forte impronta universalistica del nostro Servizio Sanitario Nazionale”. Questo vuol dire che, malgrado la gratuità delle cure sanitarie sancita dall’Articolo 32 delle Costituzione, una parte consistente della spesa sanitaria resta a carico dei cittadini, soprattutto quella farmaceutica.

La ragione risiede nel fatto che il SSN non offre alcuna copertura per i farmaci da banco, quelli che non richiedono alcuna prescrizione medica. Non c’è nessuna distinzione, nel momento in cui un individuo acquista un farmaco senza ricetta, tra chi è sotto la soglia di povertà e chi è al di sopra. Questo vuol dire che anche una famiglia in condizioni di povertà assoluta sostiene “di tasca propria” le spese per i farmaci.

Costituzione Art. 32 – La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.

Il ricorso al farmaco in luogo di altri servizi di cura: la motivazione è prima di tutto economica

I dati Istat confermano che per le famiglie e gli individui più fragili la spesa farmaceutica rappresenta la parte più consistente del budget destinato alla salute in generale. Detto in altre parole: chi è in condizione di povertà sanitaria ricorre al farmaco molto di più che ad altri servizi sanitari come per esempio la prevenzione e le cure specialistiche, in quanto queste ultime sono ancora meno sostenibili dal punto di vista economico.

Negli ultimi 8 anni le famiglie fragili hanno sostenuto con le proprie risorse economiche una spesa sanitaria mensile pro-capite compresa tra 9 e 11 euro, destinando oltre il 60% delle loro risorse per la salute all’acquisto di farmaci. E le famiglie benestanti? Spendono in farmaci molto meno, destinando a questo capitolo di spesa solo il 39-44% della spesa generale per la salute, lasciando quindi maggior spazio all’acquisto di altri servizi sanitari.

Va inoltre tenuto conto della maggiore difficoltà delle famiglie e degli individui in condizione di povertà sanitaria ad accedere ai servizi pubblici e ai servizi medico-assistenziali per distanza, scarsità sul territorio, carenze informative e organizzative. Difficoltà che si acuiscono in determinate aree del Sud e delle Isole, dove è maggiore l’indebolimento delle reti di solidarietà e la “desertificazione organizzativa” che limita la presenza dei presidi sanitari, delle agenzie di welfare o del terzo settore.

Una famiglia su sei risparmia sulla spesa per la salute

Il fenomeno della povertà sanitaria non è una esclusiva delle famiglie indigenti. Negli ultimi quattro anni infatti la diminuzione della spesa per la prevenzione e, in certi casi, la rinuncia totale a visite mediche e accertamenti periodici di controllo preventivo (dentista, mammografie, pap-test, screening oncologici) riguarda una famiglia italiana su sei.

E se una famiglia che non vive una situazione di grave crisi economica sceglie, la maggior parte delle volte, di rivolgersi alla sanità pubblica, una povera rinuncia anche a quella. E la ragione non è solamente economica: troppo spesso incide il vivere in aree del Paese con una oggettiva mancanza di servizi sanitari, territori dove la carenza del pubblico è compensata unicamente dal privato. Inoltre, la possibilità di rivolgersi a strutture sanitarie convenzionate, con programmi dedicati ai nuclei con redditi fragili, richiede l’accesso a informazioni e il supporto di reti di prossimità che spesso mancano proprio nelle aree dove vi è più necessità. E quindi non vengono sfruttate.

Le cause della povertà assoluta

Perché in Italia è così diffusa la povertà? Il rapporto Condizioni di vita in Europa di Eurostat sostiene che le principali ragioni vanno cercate nella stagnazione salariale, ovvero nella mancanza di aumenti di salario o di aumenti non sufficienti a compensare l’inflazione e il costo della vita. Influisce poi il fenomeno del part-time involontario e la crescente precarietà del lavoro che ha portato a un aumento dei contratti a tempo determinato e di quelli a progetto e atipici che hanno salari più bassi rispetto ai contratti a tempo indeterminato.

Il rischio di povertà e di esclusione sociale è acuito inoltre in tutti i casi in cui un individuo soffre la mancanza di qualifiche professionali o di un’istruzione adeguata, vive in condizioni di precarietà abitativa o in aree dove il tasso di povertà è particolarmente elevato ed è maggiore per le donne, i giovani adulti tra i 18 e i 24 anni e i genitori con figli a carico. In Europa la percentuale di donne e uomini esposti a gravi privazioni materiali e sociali a causa di un reddito complessivo sotto la soglia di povertà è del 21,7%. Nel corso dell’ultimo decennio, miglioramenti concreti nella diminuzione delle persone a rischio di fragilità quotidiana per ragioni economiche si sono verificate in Grecia e in Romania. Mentre in 10 paesi membri, tra cui l’Italia, c’è stato un peggioramento aggravato ulteriormente dall’emergenza sanitaria. Mediamente in UE non c’è stato alcun cambiamento di rilievo nella diminuzione delle persone e delle famiglie a rischio o già in condizioni di povertà estrema.

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Accesso ai farmaci per popolazioni a basso reddito: la classifica delle case farmaceutiche di Access to Medicine Foundation

Quanto fin qui delineato mostra come, per far fronte al progressivo aumento delle persone in condizione di povertà sanitaria, sia necessario l’intervento quotidiano di organizzazioni che incoraggino l’industria farmaceutica a fare di più per aiutare le fette di popolazione meno abbienti ad avere accesso ai farmaci di cui hanno bisogno. Un esempio è Access to Medicine Foundation un’organizzazione senza scopo di lucro fondata nel 2003 da un imprenditore olandese, Wim Leereveld.

L’associazione pubblica ogni due anni l’Access to Medicine Index, che classifica le prime 20 aziende farmaceutiche al mondo (che rappresentano circa il 70% del fatturato globale del settore) in base alle loro politiche e pratiche per migliorare l’accesso ai farmaci. La pubblicazione più recente dell’Indice è dello scorso 26 gennaio e si è concentrata su priorità di salute globale come il COVID-19 oltre che porre l’accento su una maggiore diffusione di farmaci, vaccini e servizi nei Paesi in cui la povertà sanitaria è una versa emergenza.

Risultati principali

Dallo studio emerge che il tema dell’accesso ai farmaci è sempre più rilevante per le società farmaceutiche: più della metà di esse ha predisposto una strategia per l’accesso ai farmaci legata a obiettivi di business e alla remunerazione dei dirigenti. Inoltre attribuisce responsabilità in materia direttamente al CdA. Ad esempio otto società farmaceutiche hanno già in fase di sviluppo strategie per la distribuzione dei farmaci in Paesi a medio e basso reddito e, rispetto al 2018, si contano 15 nuovi modelli di business pensati per fasce di popolazione finora escluse.

Tuttavia, restano ancora ampi margini di miglioramento. Se nell’ultimo anno si contano ben 63 nuovi progetti di ricerca e sviluppo per il contrasto al Sars-Cov2, l’attività di ricerca per vaccini e farmaci contro altri patogeni che rappresentano rischio pandemico (e.g. Nipah, Zika, SARS) è molto limitata. In aggiunta, le strategie di accesso ai farmaci messe in atto dalle società riguardano soltanto una minoranza dei farmaci analizzati e trascurano la maggior parte dei Paesi a basso reddito.

Perché conta

Con una metodologia dettagliata e in costante aggiornamento, la diffusione della nuova classifica ha una portata rilevante. Sicuramente perché viene pubblicata in un momento storico in cui la sanità e le società farmaceutiche sono protagoniste della cronaca quotidiana e in cui la crisi sanitaria e sociale hanno elevato rapidamente l’attenzione generale sull’aspetto S dell’acronimo ESG (Environmental, Social and Governance). Anche il settore del risparmio gestito, in cui opera Etica Sgr, vi riserva un interesse crescente. Sono infatti 113 gli investitori istituzionali in tutto il mondo, con un totale di oltre 18 trilioni di dollari in gestione, ad aver dichiarato formalmente il proprio impegno a supporto della causa dell’accesso ai farmaci firmando l’Access to Medicine Index Investor Statement promosso dalla fondazione. Dal 2018 tra queste realtà c’è anche Etica Sgr.

“Gli investitori giocano un ruolo fondamentale nel garantire che le imprese farmaceutiche conducano attività di ricerca e sviluppo su priorità globali come pandemie e malattie infettive. Negli ultimi dieci anni all’Access to Medicine Foundation abbiamo visto i risultati concreti che si possono ottenere quando più di 100 investitori uniscono i propri sforzi per convincere il management delle imprese farmaceutiche a bilanciare gli interessi degli azionisti con quelli dei pazienti più svantaggiati”, ribadisce Damiano De Felice, Director of Strategy, Access to Medicine Foundation.

Perché l’accesso ai farmaci interessa società e investitori?

La ricerca farmaceutica è un’attività estremamente costosa e rischiosa per il settore privato. Il tema dell’accesso ai farmaci ha assunto per le società farmaceutiche e per chi le finanzia un’importanza strategica. Questo perché, in primo luogo, il settore farmaceutico non gode di buona reputazione e credibilità, condizione che presenta un rischio significativo in un comparto altamente normato e legato a contributi pubblici. D’altro canto si tratta anche di un settore che, per sua natura, ha molto potenziale di contribuire agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, in particolare a quello sulla salute e il benessere. Inoltre, in ottica strettamente economica, dalle analisi di Access to Medicine emerge come l’impegno nell’accesso ai farmaci sia proficuo per le aziende per rafforzare la propria presenza (c.d. licenza d’operare) nei mercati emergenti, in ottica di sviluppo di lungo periodo, attraverso investimenti sia fisici sia relazionali con le istituzioni locali. Infatti, la pressione sui prezzi nelle economie mature e i trend sanitari e demografici nei Paesi emergenti fanno di questi ultimi un naturale approdo per il business, con grande potenziale di crescita.

La sintesi tra motivazioni sociali e di business, indice di una visione economica lungimirante, è un obiettivo a cui tendono sempre più investitori istituzionali, non solo nel mercato SRI (Sustainable and Responsible Investing), spinti anche da numerose iniziative normative.

Covid19: Etica Sgr supporta una risposta globale per mitigare i rischi finanziari ed economici

Grazie all’adesione al network Access to Medicine, Etica Sgr nel corso del 2020 ha preso parte a un’iniziativa insieme a un gruppo di investitori istituzionali per dialogare con alcune società farmaceutiche sul tema della cooperazione per facilitare lo sviluppo di vaccini e dispositivi in risposta all’emergenza pandemica.

“Le informazioni provenienti dal network Access to Medicine sono un supporto essenziale per l’engagement di Etica Sgr sull’accesso ai farmaci, un tema su cui è importante chiamare all’azione le aziende ma anche i decisori politici e i regolatori”, conferma Aldo Bonati, Corporate Engagement and Networks Manager di Etica Sgr.

 

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