Entrare. Ascoltare. Restare. Trovare parole dove prima c’era solo silenzio.
Da oltre dieci anni L’Officina Associazione Culturale lavora nelle carceri italiane portando scrittura, poesia e cinema in luoghi in cui la parola è fragile, spesso assente, sempre necessaria. Un lavoro silenzioso, che non cerca visibilità, ma apre possibilità concrete di relazione.
Fondata nel 2010 da Alberto, scrittore e poeta, L’Officina nasce da un’idea semplice e radicale: la cultura non come intrattenimento, ma come spazio di responsabilità. Un approccio che evita la retorica e sceglie l’ascolto, la misura, la relazione. «Non mi considero un eroe. Faccio quello che ritengo giusto: entrare per far uscire storie, non per raccontarle al posto di qualcuno. Il carcere è un luogo dove la parola va maneggiata con cura.»
Dove la cultura sembra non avere spazio
L’Officina entra negli istituti penitenziari per adulti e minori con strumenti essenziali: fogli, penne, libri, immagini. Lavora con gruppi spesso definiti “difficili” o “scomodi”, in contesti dove parlare può essere rischioso e il silenzio diventa una forma di difesa. «All’inizio non è facile. C’è diffidenza, c’è chi non vuole esporsi. Per questo non chiediamo di raccontarsi: creiamo le condizioni perché, se qualcuno vuole, possa farlo.»
Scrittura, poesia, cinema
I primi percorsi nascono attorno alla scrittura e alla poesia. Scrivere non serve a sfogarsi, ma a trovare una forma possibile di racconto. Le parole diventano uno spazio abitabile: permettono di dirsi senza ferire e di ascoltare senza giudicare.
Da oltre undici anni L’Officina conduce un laboratorio di poesia con minori detenuti tra gli 11 e i 18 anni. «Con i minori la tutela viene prima di tutto. Niente volti, niente nomi. Solo voci. La parola deve proteggere, non esporre.»
Con il tempo, accanto alla parola scritta, arriva anche il cinema. All’interno degli istituti si scrive, si prova, si gira, seguendo regole precise. I cortometraggi realizzati vengono poi presentati all’esterno insieme alle poesie. Non per spettacolarizzare la detenzione, ma per restituire complessità. «Il cinema, come la poesia, obbliga a stare dentro dei limiti. Non tutto si può dire, non tutto si può mostrare. È proprio lì che nasce la responsabilità.»
In questo contesto l’arte non diventa mai assoluzione. Esporsi davanti agli altri significa fare i conti con lo sguardo altrui, accettare regole condivise, imparare a stare in relazione.

Portare fuori ciò che nasce dentro
Il lavoro dell’associazione non si ferma dietro le mura. All’esterno, L’Officina organizza incontri culturali, presentazioni e il Festival delle Scomodità, uno spazio pubblico in cui il disagio non viene evitato, ma attraversato.
«Portare fuori questi lavori non significa semplificarli. Significa prendersi la responsabilità di farli incontrare con il pubblico, così come sono.»
La microfinanza come continuità
Il sostegno del Fondo per la Microfinanza di Etica Sgr ha permesso a L’Officina di garantire continuità ai progetti nei penitenziari, di rafforzare le collaborazioni professionali e di portare all’esterno i lavori nati all’interno. In questo caso, la microfinanza accompagna processi lunghi e delicati, che richiedono tempo, fiducia e stabilità.
L’impatto del lavoro si riconosce nei cambiamenti più sottili: nella possibilità di trovare parole dove prima c’era chiusura, nel passaggio dal conflitto all’ascolto, nella costruzione di relazioni non violente. «In carcere non portiamo spettacolo, ma attenzione. Se un giorno qualcuno potrà dire di aver trovato, grazie a un laboratorio, un modo diverso per esprimersi senza riaprire quel dolore, allora avremo fatto ciò che andava fatto.»
L’Officina Associazione Culturale è una storia di microfinanza che dimostra come la cultura, quando è praticata con rigore e responsabilità, possa diventare uno strumento concreto di trasformazione.
Si prega di leggere le Note Legali.


