Essere donna continua a significare avere meno spazio, meno voce e minori opportunità in quasi ogni ambito della vita sociale ed economica. Secondo il Global Gender Gap Report2025, le donne nel mondo possono contare in media solo sul 68,8% dei diritti, delle tutele e delle opportunità di cui godono gli uomini. Il progresso registrato nell’ultimo anno è stato di appena 0,4 punti percentuali: uno dei più contenuti dell’ultimo decennio. Nessuno dei 148 Paesi analizzati ha raggiunto la piena parità e in oltre la metà dei territori considerati l’avanzamento rilevato nel 2025 non ha superato un punto percentuale. Il report, pubblicato ogni anno dal World Economic Forum, misura le disuguaglianze di genere in quattro ambiti fondamentali: partecipazione economica, istruzione, salute e rappresentanza politica. Se il ritmo attuale dovesse rimanere invariato, serviranno ancora 123 anni per colmare del tutto il divario.
Rappresentanza e lavoro: i due ambiti dove il gender gap resta più ampio
I ritardi più gravi nella riduzione delle disuguaglianze tra uomini e donne riguardano soprattutto due ambiti: la rappresentanza politica e la partecipazione economica. Nel primo caso, il livello di parità raggiunto è fermo al 22,9% (era al 22,8% nel 2024), con un incremento minimo e tempi di riequilibrio stimati in 162 anni – il dato più basso tra tutti gli indicatori osservati. Anche sul piano economico, le disuguaglianze restano profonde: la quota di divario colmata è salita al 60,7% (dal 60,0% dell’anno precedente), segnando un lieve miglioramento ma ben lontano dai livelli che garantirebbero un accesso effettivamente equo al lavoro, alla retribuzione e ai ruoli apicali. Il tempo stimato per una piena parità economica è di 135 anni.
Le disuguaglianze nel lavoro continuano a limitare le opportunità per le donne. Nel 2024, il tasso globale di partecipazione femminile al mercato del lavoro è salito al 41,2%, con progressi in alcuni settori storicamente maschili. Tuttavia, le donne restano sottorappresentate nei ruoli apicali, dove rappresentano appena il 28,1% del top management. Sono più presenti in ambiti come sanità e istruzione, meno in settori come tecnologia e ingegneria, dove si concentrano le retribuzioni più alte e le maggiori prospettive di crescita. Anche il lavoro di cura, inteso come gestione della casa e assistenza ai familiari, continua a pesare in modo sproporzionato sulle donne, influenzando i loro percorsi professionali. Il congedo parentale retribuito, ad esempio, dura in media 19,6 mesi per le donne e 13,9 mesi per gli uomini, con effetti a cascata sulla continuità lavorativa e sulle opportunità di carriera.
L’istruzione non basta: lavoro inaccessibile per molte donne
Il contrasto tra istruzione e lavoro è uno degli squilibri più evidenti. In 109 Paesi su 148, le donne superano gli uomini nell’iscrizione all’università. In 25 Paesi, la parità è stata raggiunta a tutti i livelli educativi: scuola primaria, secondaria e terziaria. A livello globale, l’indice relativo all’istruzione è salito al 95,1%, uno dei risultati migliori tra le quattro aree analizzate. Eppure, questo vantaggio non si traduce in un accesso equivalente al mondo del lavoro qualificato. Le donne rappresentano solo il 29,5% della forza lavoro altamente specializzata. Nei settori tecnologici la distanza si allarga ancora: la loro presenza si ferma al 30% nell’intelligenza artificiale e scende al 20% nella data engineering. Questi dati indicano con chiarezza che, nonostante il livello di istruzione, persistono ostacoli che limitano l’ingresso e la crescita delle donne nei ruoli più strategici e meglio retribuiti.
Accanto alle barriere strutturali, il report del World Economic Forum sottolinea la debolezza dei meccanismi normativi nel garantire una reale parità. Pur in presenza di leggi formali, l’assenza di sistemi di monitoraggio efficaci e di sanzioni dissuasive rende difficile la piena applicazione delle norme antidiscriminatorie. Inoltre, le crisi globali degli ultimi anni hanno avuto un impatto sproporzionato sulle donne. Durante la pandemia di Covid-19, ad esempio, le donne hanno perso il lavoro a un tasso del 5%, contro il 3,9% degli uomini. A questo si aggiunge un carico maggiore di lavoro non retribuito: in media, a livello globale, le donne dedicano 2,3 volte più tempo degli uomini alle attività domestiche e di cura. Questi fattori si combinano per rallentare il ritorno all’occupazione e compromettere la continuità delle carriere femminili.
Il cambiamento è possibile: i dati che indicano una svolta
Pur in un quadro segnato da forti ritardi, non mancano segnali positivi. L’incremento registrato nel 2025 rappresenta uno dei più ampi degli ultimi cinque anni. In alcuni Paesi i progressi sono stati particolarmente marcati: il Bangladesh ha migliorato il proprio punteggio di 8,6 punti percentuali in un solo anno, mentre il Regno Unito ha segnato un avanzamento di 4,9 punti, risalendo sensibilmente nella classifica. Si tratta di dinamiche che dimostrano come, laddove si investe in politiche strutturate per la parità, il cambiamento sia possibile anche in tempi brevi.
Le percentuali di divario di genere colmato più elevate si registrano in due ambiti: salute e sopravvivenza (96,2%) e istruzione (95,1%). In questi due settori, la distanza tra uomini e donne risulta più contenuta rispetto ad altri. A livello geografico, le regioni con i livelli complessivi più alti di parità di genere sono il Nord America (75,8%) e l’Europa (75,1%). Nelle prime posizioni della classifica globale si trovano principalmente Paesi europei, che presentano una maggiore riduzione del divario rispetto ad altre aree del mondo.
L’Italia nel Global Gender Gap Report 2025
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Più equità, più crescita: la parità di genere rafforza l’economia
Il Global Gender Gap Report 2025 sottolinea che la parità di genere non è solo un obiettivo sociale, ma un fattore che incide direttamente sull’efficienza economica. I Paesi che hanno ridotto in misura maggiore il divario di genere – raggiungendo valori complessivi superiori all’80% – registrano livelli più alti di partecipazione femminile al lavoro retribuito e una presenza più consistente nei ruoli qualificati. Questo si traduce in una forza lavoro più ampia e diversificata, con effetti positivi sulla produttività e sulla tenuta dei mercati del lavoro.
I dati mostrano inoltre che i Paesi dotati di misure più avanzate in tema di congedi, istruzione e accesso ai vertici decisionali tendono a reagire meglio alle crisi, grazie a un’organizzazione del lavoro più equilibrata e inclusiva. La riduzione del divario di genere, in questo senso, contribuisce anche alla stabilità e alla competitività dei sistemi economici.
Dalla selezione dei titoli al voto in assemblea: l’approccio di Etica Sgr
L’impegno di Etica Sgr per la parità di genere si traduce in scelte concrete lungo tutta la filiera di investimento. La selezione delle imprese avviene attraverso un rigoroso processo di analisi che integra l’analisi ESG e l’analisi finanziaria. I criteri ESG includono la diversità di genere come indicatore rilevante di buona governance e sostenibilità sociale.
Ogni titolo viene valutato prendendo in considerazione tutti gli aspetti della sostenibilità, applicando quindi un approccio olistico da un punto di vista ESG. Volendo inquadrare degli indicatori specifici, si escludono, ad esempio, le società coinvolte in gravi controversie in relazione a discriminazione nell’occupazione o nelle condizioni di lavoro per genere, razza, etnia o nazionalità. Per quanto riguarda gli Stati, si applicano parametri specifici come il Gender Equality Index, un indice che misura l’impatto della diversità di genere.
La parità non è solo un obiettivo valoriale, ma una condizione necessaria per costruire economie più inclusive e competitive. La presenza femminile nei consigli di amministrazione e nei ruoli apicali è valutata come un elemento chiave per la qualità della gestione aziendale. Per questo Etica Sgr integra il tema della gender diversity nelle proprie analisi e considera il divario di genere una sfida tra le più urgenti.
Attraverso l’attività di stewardship, Etica Sgr dialoga con le imprese in portafoglio per promuovere politiche aziendali orientate alle pari opportunità. Questo lavoro si traduce in azioni puntuali: dalla valutazione delle misure interne sul trattamento equo del personale, al voto favorevole a mozioni degli azionisti che chiedono maggiore trasparenza e impegno nella promozione dell’equilibrio di genere. L’obiettivo è duplice: produrre valore etico e generare impatto positivo anche sul piano economico.