Engagement: quando il dialogo apre alla sostenibilità

Il dialogo prima di tutto. Questa regola, cuore dell’attività diplomatica dalla notte dei tempi, oggi non è passata di moda ma anzi ben si adatta al mondo finanziario alle prese con una attualissima transizione verso la sostenibilità. Anche in questo caso sono previsti due interlocutori: da una parte l’investitore e dall’altra l’azienda. Spetterà al primo mettere in atto un’opera di convincimento costruttivo nei confronti della seconda che va sotto il nome di engagement, per un tempo relativamente lungo. Lo scopo? Spingere le imprese in cui investe, a intraprendere un percorso di miglioramento degli standard e delle prassi e, oggi, a “puntare decisamente la prua” nella direzione di uno sviluppo più sostenibile, che non guardi esclusivamente al profitto come meta finale.

Scacco in due mosse

Una corretta azione di engagement si articola in due mosse. In primo luogo, come anticipato, si avvia un dialogo quanto più costruttivo fra investitori e impresa attraverso incontri diretti, riunioni, telefonate. Dietro le quinte di un engagement di successo vi è un lavoro continuo di avvicinamento, a volte complesso, che va organizzato e adeguatamente pianificato se si vuole convincere l’altra parte dell’opportunità e del vantaggio di un cambio di rotta rispetto a consuetudini aziendali consolidate ma ormai non più adatte ai tempi.

Oltre al dialogo, esiste un’altra leva molto efficace: l’azionariato attivo che si caratterizza per l’esercizio del diritto di voto da parte dell’investitore, direttamente o per procura, nel corso delle assemblee. Questo strumento rappresenta il più plateale canale per lanciare un messaggio forte e chiaro al management di un’azienda: votare sui punti all’ordine del giorno, presentando o supportando mozioni sui temi ESG rilevanti, rientra nelle azioni di un investitore responsabile, che in questo modo ha la possibilità di confrontarsi direttamente con cda e vertici sulle tematiche di sostenibilità al centro del dialogo intercorso durante l’anno e di richiedere un cambio di passo quando necessario.

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La centralità dell’advocacy

Un’azione complementare ma altrettanto importante è quella dell’advocacy: con questo termine si indica una strategia di sensibilizzazione che ha lo scopo di supportare e promuovere l’integrazione dei temi Esg anche in istituzioni dalle responsabilità molto articolate e caratterizzate da un ambito di competenza molto ampio come, per esempio, i governi e i regolatori. L’obiettivo è quello di fare in modo che le risorse finanziarie siano maggiormente indirizzate verso la realizzazione di corrette pratiche di sostenibilità. Tipici strumenti dell’advocacy sono la partecipazione a campagne internazionali, la promozione di dichiarazioni di intenti, la presentazione di mozioni. Anche in questo caso il dialogo risulta centrale perché una advocacy di successo è proprio quella che riesca a raggiungere l’obiettivo di aprire un canale attraverso il quale promuovere il confronto tra investitori etici, stakeholder ed emittenti sovrani realizzando allo stesso tempo un network fra loro.

Fondo norvegese all’attacco

Norges Bank Investment Management, il fondo sovrano più grande al mondo per asset con una massa gestita del valore di 1.400 miliardi di dollari, fornisce un esempio lampante di azione di engagement sui temi della sostenibilità, esercitata attraverso l’azionariato attivo. Il fondo norvegese ha investito in 9 mila imprese in 70 Paesi del mondo, Italia compresa, e sa, per usare le parole della chief governance and compliance officer, Carine Smith Ihenacho, che “alle aziende interessa il nostro voto alle assemblee generali. Vogliamo davvero influenzare e spingere le imprese a fissare obiettivi di zero emissioni al 2050 e anche a dotarsi di piani di transizione credibili”. Ihenacho, in una recente intervista i rilasciata alla Cnbc, aveva anche sottolineato che l’attenzione per una strategia sostenibile da parte delle aziende in cui il fondo investe “è nel nostro interesse a lungo termine perché, per i nostri rendimenti finanziari, pensiamo che questo sarà vantaggioso”. Un messaggio chiaro, rafforzato anche da una minaccia neanche troppo velata: nel caso di imprese particolarmente restie a intraprendere concretamente la strada della transizione, l’exit strategy, cioè il disinvestimento, sarebbe un’opzione da prendere in considerazione per i vertici di NBIM anche se non la più efficace. “Vendere non risolverà affatto la crisi climatica visto che si vende semplicemente a qualcun altro che, come proprietario, potrebbe avere meno a cuore di noi il clima”, ha commentato con lucidità e amara consapevolezza Ihenacho.

L’engagement nell’obbligazionario

Il dialogo e il confronto continuo rappresentano l’unica strada percorribile quando parliamo di investimenti obbligazionari. In questo caso, infatti, chi detiene obbligazioni non è un azionista dell’azienda ma un “finanziatore”. In tale veste, quindi, non può partecipare con diritto di voto alle assemblee e l'”arma” più efficace, l’intervento diretto, gli è di fatto preclusa. D’altro canto, sono proprio le società che emettono obbligazioni a rendersi sempre più conto della necessità di ascoltare le istanze degli investitori per un’integrazione delle tematiche ESG nelle loro emissioni di debito, tanto che concedono sempre più spesso di partecipare alle riunioni aziendali allo scopo di incoraggiare concreti passi in avanti nell’integrazione delle prassi sostenibili.

L’engagement in ambito obbligazionario risulta particolarmente importante e allo stesso tempo anche molto complesso quando si ha a che fare con emissioni di debito sovrane. In questo caso, infatti, l’interlocutore con cui interfacciarsi non consiste nel management di un’impresa ma di solito nei tecnici o consulenti di un dicastero ministeriale al quale fanno capo la politica finanziaria di un Paese e la gestione del debito nazionale. In un contesto di lotta globale ai cambiamenti climatici è, però, centrale spostare il baricentro dell’attenzione non solo delle imprese, ma anche dei decisori politici e delle istituzioni nazionali, nella direzione delle tematiche green. E già qualcosa sembra muoversi se è vero che l’emissione globale di bond sostenibili, secondo S&P, ha raggiunto nel 2023 un valore di 1000 miliardi di dollari.

 

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