Un aumento del 70% delle vittime civili in un solo anno, il 2023, mostra con chiarezza che nei conflitti le persone comuni sono sempre più un bersaglio.
Il dato si somma al +39% registrato dall’Ufficio ONU per i Diritti Umani nel 2022: due rilevazioni consecutive che indicano un peggioramento strutturale. La violenza contro i civili non è più un effetto collaterale, ma una componente ricorrente delle guerre. Gli stessi report evidenziano un ulteriore elemento di allarme: ogni giorno almeno un difensore dei diritti umani viene ucciso o scompare.
Questo insieme di fenomeni rivela un deterioramento profondo delle garanzie fondamentali e della capacità delle istituzioni di prevenire o contrastare le violazioni. La deriva in corso è un arretramento simultaneo delle libertà individuali, della sicurezza delle popolazioni e dello spazio democratico. Violenza contro i civili, intimidazioni verso chi tutela i diritti e normalizzazione delle discriminazioni convergono in un unico movimento discendente, che indebolisce la tenuta delle società a prescindere dal loro livello di sviluppo. Emblematico, in questo senso, il dato dell’Alto Commissariato ONU: 140 donne e ragazze uccise ogni giorno in ambito familiare, un segnale che riguarda anche Paesi considerati avanzati sul piano istituzionale.

Guerre e autoritarismi erodono diritti e protezioni
Conflitti aperti, instabilità politica e pratiche autoritarie stanno riducendo drasticamente diritti e tutele per milioni di persone. Il Sudan ne è un esempio estremo: secondo Amnesty International, conta 11 milioni di sfollati interni e 3,2 milioni di rifugiati nei Paesi vicini. Le Rapid Support Forces (Rsf) sono accusate di attacchi deliberati ai civili, violenze sessuali sistematiche e deportazioni forzate di intere comunità del Darfur.
Nel conflitto tra Israele e Gaza, Human Rights Watch documenta violazioni del diritto umanitario e segnala il rischio di un impiego illecito di forniture militari estere. In Ucraina, gli attacchi russi continuano a colpire infrastrutture civili, scuole e aree residenziali.
Crisi protratte colpiscono anche contesti meno esposti mediaticamente. Ad Haiti la violenza delle gang produce vittime e nuovi sfollati; in Siria, dopo il collasso governativo del 2024, gruppi armati restano attivi e responsabili di abusi; in Myanmar la repressione militare continua con arresti arbitrari e violenze diffuse. Parallelamente cresce la repressione del dissenso: Amnesty documenta omicidi, arresti di massa e uso eccessivo della forza contro manifestanti in Pakistan, Kenya ed Egitto. In Bangladesh, le proteste studentesche hanno causato quasi 1.000 vittime, uno dei bilanci più gravi degli ultimi anni.

Diritti e libertà in calo anche in assenza di conflitti
La riduzione dello spazio civico interessa sempre più Paesi formalmente “in pace”. Le limitazioni alle organizzazioni indipendenti e le leggi sulla sicurezza nazionale restringono diritti e partecipazione: a Hong Kong la Legge sulla Sicurezza Nazionale ha portato a numerose condanne di attivisti, mentre in Georgia la normativa sugli “agenti stranieri” ostacola il lavoro delle Ong. Misure analoghe, documenta Amnesty, sono state introdotte in Argentina, Nicaragua, Pakistan e Perù, con divieti generalizzati di protesta in Turchia.
Anche i diritti delle donne subiscono bruschi arretramenti: in Afghanistan, le restrizioni talebane escludono donne e ragazze dalla scuola secondaria e dal lavoro; in Iran proseguono arresti e condanne contro chi contesta l’obbligo del velo. A livello globale, solo il 46% degli Stati dispone di leggi pienamente conformi alla parità di genere.
I diritti delle persone Lgbtq+ seguono traiettorie disomogenee: progressi in Thailandia e Grecia, che hanno approvato il matrimonio egualitario, e in Giappone, dove la magistratura ha giudicato incostituzionale il divieto. Ma crescono le preoccupazioni in Ghana, Mali, Uganda e in Georgia, dove sono state introdotte norme sui “valori familiari”. Sulla pena di morte, 113 Paesi restano abolizionisti, ma tra quelli che la mantengono Amnesty segnala un aumento delle esecuzioni superiore al 30% annuo dal 2020.
Diritti umani nel mondo: i numeri chiave secondo l’OHCHR
- +30% annuo: incremento delle esecuzioni nei Paesi che ancora applicano la pena di morte
- 21%: percentuale di Paesi in cui le istituzioni nazionali riportano dati sugli attacchi ai difensori dei diritti umani.
- 41%: percentuale di conflitti di cui l’ONU raccoglie dati sui crimini contro i civili.
- 46%: percentuale di Stati che hanno leggi pienamente conformi alla parità di genere.
- <0,5%: quota degli aiuti dei Paesi OCSE destinata ai diritti umani, nonostante il triplicarsi dei fondi in 20 anni.
Clima e tecnologia: le nuove frontiere della minaccia ai diritti
La minaccia ai diritti non proviene solo da conflitti e repressioni. Il cambiamento climatico sta già producendo effetti devastanti. Il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) registra un avvicinamento costante alla soglia dei +1,5°C; secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), nel 2023 ci sono stati 23,7 milioni di nuovi sfollati climatici, con picchi in Bangladesh, Pakistan, Etiopia e Somalia. Alluvioni, siccità e cicloni alterano condizioni di vita, accesso alle risorse e sicurezza delle comunità, limitando la capacità degli Stati di garantire diritti fondamentali.
A questa pressione ambientale si aggiunge una fase politica altrettanto delicata. Nel 2024 più di 70 Paesi sono andati al voto, per un totale di oltre quattro miliardi di persone. Diverse missioni internazionali hanno segnalato restrizioni ai media in almeno 37 contesti elettorali. Parallelamente, cresce l’uso governativo di tecnologie di sorveglianza digitale e sistemi basati su intelligenza artificiale per monitorare comunicazioni, spostamenti e attività collettive. Una tendenza che ridisegna il rapporto tra cittadini e istituzioni, con implicazioni profonde per la libertà di espressione e la qualità della governance.
Le scelte di Etica Sgr a difesa dei diritti umani
Le scelte finanziarie possono essere uno strumento efficace per promuovere e proteggere i diritti umani a livello globale. La metodologia di Etica Sgr esclude dagli investimenti dei fondi tutte le società coinvolte in gravi violazioni dei diritti umani fondamentali, come discriminazioni, lavoro minorile o forzato, mancato rispetto della libertà di associazione e della contrattazione collettiva, trattamenti crudeli o degradanti. Etica Sgr nei propri criteri di selezione verifica che le imprese adottino politiche e misure concrete per tutelare i diritti fondamentali dei lavoratori e delle persone lungo tutta la catena del valore.
La stessa attenzione viene applicata agli Stati: escludiamo dai portafogli i titoli emessi da Stati che prevedono la pena di morte o non garantiscono le libertà civili, di stampa e i diritti politici. Diciamo sì agli Stati che aderiscono alle principali convenzioni internazionali sui diritti umani e dei lavoratori.
La stewardship rappresenta il passo ulteriore con cui Etica Sgr difende e promuove attivamente i diritti umani: dialoghiamo con le imprese per sollecitare miglioramenti reali e misurabili. I diritti umani sono uno degli ambiti sistemici prioritari su cui Etica concentra il proprio impegno di engagement, insieme a biodiversità, cambiamento climatico, armi, fiscalità e intelligenza artificiale.
Questo impegno si concretizza in centinaia di attività di confronto con le aziende, ponendo domande specifiche su lavoro dignitoso, gestione della diversità, diritti nella catena di fornitura e protezione dei lavoratori: nel solo 2024, il 9,5% di tutte le domande rivolte alle imprese ha riguardato direttamente i diritti umani, con un tasso di risposta del 93% e con il 37% di risposte valutate da Etica come soddisfacenti,
Dell’attività di stewardship fanno parte azionariato attivo e advocacy: Etica partecipa alle assemblee per portare le sue istanze sui temi sociali e, tramite coalizioni internazionali, stimola regolatori e governi a rafforzare gli standard sui diritti delle persone lungo le filiere globali.

