Finanza ESG e armi: perché il riarmo non è sostenibile

Sempre più fondi che si dichiarano sostenibili finanziano l’industria bellica, arrivando persino a includere nei portafogli società legate alla filiera nucleare. La finanza ESG europea, nata per indirizzare i capitali verso ambiente, coesione sociale e governance responsabile, ha progressivamente esteso i propri confini fino a snaturarsi e includere, tra gli investimenti possibili, comparti che generano effetti diametralmente opposti. Non è un’anomalia temporanea, ma un fenomeno strutturale che prova a ridefinire cosa possa essere “sostenibile”, con implicazioni etiche, politiche e geopolitiche di grande portata.

Può sembrare un paradosso, ma i numeri parlano chiaro. Sono infatti oltre 2.000 i fondi europei sostenibili che detengono in portafoglio società della filiera bellica, per un valore complessivo di 20 miliardi di dollari. Nel 2022 erano 1.339, quindi c’è stato un aumento superiore al 50% in appena due anni. Fondi presentati come strumenti per la transizione ecologica e la coesione sociale finiscono, di fatto, per sostenere i maggiori fornitori di armamenti.

Come l’Europa sta trasformando la finanza “sostenibile”

Negli ultimi mesi, con l’Unione Europea sempre più orientata al riarmo, anche i grandi gestori di fondi hanno imboccato la stessa strada, trovando in Euronext – la principale borsa paneuropea che riunisce i mercati di Parigi, Amsterdam, Bruxelles, Dublino, Lisbona, Oslo e Milano – un alleato strategico. L’istituzione ha di fatto riletto l’acronimo ESG (environmental, social, governance) come energy, security, geostrategy e ha lanciato nuovi indici dedicati a energia (incluso il nucleare), difesa e autonomia strategica. Parallelamente, le esclusioni dal settore militare sono state circoscritte alle sole armi vietate da trattati internazionali, aprendo così la porta all’ingresso nel perimetro “sostenibile” della gran parte dell’industria bellica.

La decisione si inserisce nel più ampio piano ReArm Europe, che mobilita 800 miliardi di euro per il riarmo e introduce strumenti finanziari specifici, come i bond emessi dalle aziende della difesa.

Nel giugno 2025 la Commissione Europea ha pubblicato il Defence Readiness Omnibus, volto a favorire una mentalità di preparazione alla difesa in tutta l’UE, porre le basi per ingenti investimenti nel settore della difesa e a chiarire il trattamento del settore difesa negli investimenti ESG.

La Commissione Europea, sul tema, ha specificato che le limitazioni normative riguarderebbero solo le armi controverse (mine antiuomo, munizioni a grappolo, armi chimiche e biologiche) e che il principio DNSH (“do no significant harm”) non precluderebbe gli investimenti nel settore della difesa.

costo ambientale della guerra, impatto ambientale della guerra, carro armato leopard 2, Carro armato mimetico in movimento in una foresta, con fumo che fuoriesce dal veicolo.

L’esposizione dei fondi al settore della difesa

Le tensioni geopolitiche hanno reso ancora più attraente questo percorso sul piano finanziario. Nei primi nove mesi dell’anno l’S&P Global 1200 Aerospace & Defense Index ha superato il +50%, battendo sia lo S&P Global Clean Energy Transition Index (+34%) sia lo S&P 500 (+13,7%). La finanza sembra così premiare senza esitazioni un’economia sempre più legata all’industria delle armi.

Il boom dei titoli della difesa ha spinto i fondi Articolo 8 – quelli che dovrebbero promuovere caratteristiche ambientali e sociali – ad aumentare la quota investita nelle aziende militari fino al 2,5%, ormai vicina al 3,3% dei fondi Articolo 6, privi di vincoli ESG (fonte Morningstar, SFDR Article 8 and Article 9 Funds: Q2 2025 in Review)

Oggi in Europa oltre la metà (54%) dei fondi azionari classificati ex articolo 8 ha esposizione alla difesa: praticamente un fondo su due. Non solo: uno su cinque (19%) investe almeno il 5% in titoli aerospazio e difesa, rispetto al 3% del 2022.

Il cambiamento è stato ancora più marcato per i fondi tradizionali ex articolo 6: la quota di fondi con esposizione alla difesa è salita dal 55% al 67%, e il 31% ha ora almeno il 5% di esposizione, sei volte più che nel 2022.

Sul fronte delle politiche di esclusione, solo il 31% dei fondi Articolo 8 e il 48% dei fondi Articolo 9 dichiara di escludere le società coinvolte nel business della difesa, contro appena il 2,5% dei fondi Articolo 6.

Nel frattempo, i fondi Articolo 8 hanno più che raddoppiato anche il loro coinvolgimento diretto in armi controverse e contratti militari, rispettivamente di 2,6 e 2,9 volte.

Grafico che mostra il coinvolgimento medio dei fondi azionari europei in armi controverse e contratti militari (gennaio 2022–maggio 2025), suddiviso per fondi Articolo 6, 8 e 9 secondo la classificazione SFDR.

Più armi, meno sviluppo sostenibile

Il problema va oltre i fondi ESG. Secondo l’ONU, nel 2024 i governi del mondo hanno speso 2.700 miliardi di dollari in armamenti, il livello più alto mai registrato. Un dato impressionante se confrontato con i 4.000 miliardi di dollari che mancano per finanziare l’Agenda 2030: la corsa al riarmo sta sottraendo risorse decisive allo sviluppo sostenibile.

Il rapporto The security we need, diffuso dal Segretario Generale delle Nazioni Unite, denuncia la falsa percezione di sicurezza che deriva dall’aumento delle spese militari: più armi non garantiscono stabilità, anzi rendono più probabili escalation e conflitti. Ogni dollaro speso in armamenti genera inoltre il doppio delle emissioni di gas serra rispetto a un dollaro investito in altri settori.

Per l’ONU, occorre una nuova idea di sicurezza fondata sulla dignità umana, sui diritti fondamentali e sullo sviluppo sostenibile. Tra le azioni proposte: più diplomazia, trasparenza sulle spese militari, rafforzamento della finanza multilaterale per lo sviluppo e una cooperazione internazionale che metta al centro la persona, non le armi.

finanza esg e armi - Veduta aerea di un’area urbana con edifici distrutti e macerie in mezzo a costruzioni intatte.

La mossa vincente: perché l’ESG conviene all’economia

Snaturare il concetto di ESG includendo il settore bellico, sebbene possa apparire remunerativo nel breve termine, rappresenta un errore strategico. Ignora le evidenze dei principali organismi internazionali, che sottolineano come la sostenibilità non sia solo una scelta etica, ma un fattore di resilienza e competitività.

Il World Economic Forum, ad esempio, sottolinea che una solida performance ESG è correlata a migliori risultati finanziari, poiché le aziende sostenibili sono più resilienti e innovative. Nello specifico, l’organizzazione stima che la valorizzazione del “capitale naturale” (biodiversità, acqua, suolo) possa generare un valore  annuo di 10.000 miliardi di dollari e quasi 400 milioni di posti di lavoro entro il 2030. Allo stesso modo, il Sovereign ESG Data Framework della Banca Mondiale indica come i Paesi capaci di gestire i rischi ambientali e sociali – investendo in capitale umano, riducendo la povertà e garantendo l’equità – siano quelli con le maggiori probabilità di ottenere una crescita economica stabile e duratura. Si aggiunge l’OCSE che, nel suo report “ESG Investing: Practices, Progress and Challenges”, conferma il legame positivo tra sostenibilità e performance finanziaria, evidenziando come le buone pratiche ESG siano un indicatore di gestione aziendale di qualità, capace di tradursi in maggiore redditività e valutazioni di mercato più elevate.

Abbandonare questi principi per inseguire i profitti della difesa significa quindi indebolire la capacità del sistema economico di generare valore nel lungo periodo, sacrificando la stabilità e le opportunità offerte da settori come le energie rinnovabili e la green economy, che rappresentano il vero motore dello sviluppo futuro.

La posizione di Etica Sgr

La visione di Etica Sgr è radicalmente diversa: per noi la finanza deve essere motore di un cambiamento reale e duraturo, con uno sguardo rivolto al medio-lungo periodo. Le armi, per loro natura, non producono alcun impatto positivo: i conflitti generano vittime civili, disgregazione sociale, danni economici e ambientali. Per questo, da sempre, escludiamo in modo netto dai nostri fondi ogni investimento in aziende legate sia alle armi convenzionali sia a quelle controverse, andando oltre il semplice rispetto dei divieti previsti dai trattati internazionali. Per Etica Sgr investire in società del settore armamenti non può in alcun modo essere considerato sostenibile.

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